In questo scritto sull'opera scultorea di Yoshin Ogata, mi propongo di spiegare in maniera semplice e comprensibile le varie fasi creative, per dare al lettore un quadro dei processi mediante i quali gli artisti, e Ogata stesso, compiono la propria ricerca autonoma e nel proprio specifico ambito, delle arti visive, contribuendo alla costruzione della cultura. Ma, anche per facilitare l'intendimento del sistema culturale della società moderna, con le tensioni, le contraddizioni, le crisi del nostro tempo, mettendo in evidenza i valori qualitativi di opere più significative, del grande lavoro svolto fino a oggi da questo "nostro" artista giapponese che vive e opera da un ventennio in Toscana, negli storici luoghi delle cave di marmo di Carrara-Massa-Pietrasanta.
Orìgine
II freddo, il gelo invernale e le piogge abbondanti della primavera contribuiscono in modo naturale a far sì che la roccia si stacchi dalla cima della montagna per precipitare con una corsa tumultuosa verso valle, rimbalzando contro altre rocce, spaccandosi e sbeccandosi, modificando così sostanzialmente la "forma" iniziale. L'osso che il tempo ha pulito, il sasso che la corrente ha trapanato e levigato sono le forme archetipe della mitologia della scultura.
La materia ha una sua storia, ed è questa che la plasma, la costituisce forma, e non la pone come forma data e immutabile, che si può soltanto imitare o rappresentare: ma una forma che gli uomini percepiscono con i sensi, interpretano con l'intelletto, mutano con l'agire.
Della Poetica
II processo di Ogata artista, secondo la "poetica dell'operare", va dalla sensazione visiva al sentimento: in questo processo, dal fisico al morale, appunto, l'artista è la guida dei contemporanei; perché la natura non è soltanto sorgente del sentimento, ma induce anche a pensare. Vediamo, ma sappiamo che quello che
vediamo non è che un frammento della realtà, riflettiamo che, al di qua e al di là di quel frammento, infinita è l'estensione dello spazio e del tempo, poderose e oscure le forze cosmiche che producono i fenomeni; sconfiniamo col pensiero oltre il veduto e il visibile, nel dominio del sogno, della memoria, della fantasia, delle divinazioni, delle intuizioni. Ecco che: ciò che vediamo viene a perdere ogni interesse; mentre ciò che non vediamo, eppure pensiamo essere, s'impone e ci sgomenta con la sua moltitudine, infinità che ci da l'angoscia della nostra compiutezza; questa realtà trascendentale è il sublime che fluisce dalla pietra scolpita e navigata dai flussi dei sentimenti.
Indubbiamente la poetica del sublime esalta nell'arte l'espressione totale dell'esistenza; che non si giustifica più con un fine oltre il mondo: o si vive interamente del rapporto con gli altri e l'"io" si dissolve in una relatività senza fine, o l"'io" si assolutizza, ma rompe ogni rapporto con ciò che è altro da sé. Nessuna delle due soluzioni è possibile senza l'altra: con questo voglio dire che chi vive del rapporto con il mondo - e Ogata ne è profondamente cosciente -sentirà sempre l'ansia di ciò che è oltre; mentre chi vive oltre il mondo sentirà sempre l'assurdità della propria solitudine.
"La storia dell'arte moderna dalla metà del Settecento a oggi è la storia spesso drammatica della ricerca, tra l'individuo e la collettività, di un rapporto che non dissolva l'individualità nelle molteplicità senza fine della collettività e non la ponga al di fuori come estranea o contro come ribelle" (G.C. Argan).
Del Tema
Dalle venature scaturiscono rigagnoli, vediamo l'acqua scorrere: sentiamo il perpetuarsi nelle forme, il ciclo di vita, ricerca di un atavico incontro tra l'uomo e l'acqua. È nella straordinaria semplicità delle forme che riusciamo a cogliere la complessità della narrazione del tema; le forme trascendono l'astrazione simbolica e sono così riconoscibili, apparendoci nella loro compiutezza: scandiscono lo spazio attraverso successioni di superfici grezze e levigate, si rifrangono e si ritirano come moto ondoso, e lo spettatore stupito resta a guardare, mentre viene scolpito come marmo grezzo, nella celebrazione dell'acqua. Questa è mitologia autentica dell'eterna innocenza; il tema del "continuo" inteso come venire e crescere dell'organico era già nella teoria delle linee curve e ondulate di Hogarth. Ed è proprio il marmo, con la sua levigatezza, che si presta a interpretare al meglio la sensazione dello scorrere e del fluire dell'acqua; che scandisce, attraverso superfici piene e vuote, la musicalità del movimento del fluttuare. Ed è ancora il marmo, simbolo di pietra eterea del tempo, a ritmare il rapporto con l'acqua, elemento fondamentale di vita.
Dinamismo marmoreo, concetto contraddittorio, paradosso che contraddistingue tutte le opere di Ogata, dove l'equilibrio armonico scaturisce dalla perfetta convivenza degli opposti: alternanza di pieni e di vuoti, superfici lisce e grezze, forme circolari racchiuse e, d'intorno, superfici aperte, come se si apprestassero a recepire la goccia che cade. Goccia che non cadrà mai, ferma in moto dinamico continuo, colta l'attimo prima dell'inseminazione, dell'evento, della caduta, e perciò ricolma di tutta la tensione che caratterizza il momento prima dell'azione. E questa concordanza di elementi opposti, complementari, questa spazialità atemporale, che conferisce alle sculture di Ogata un'identità propria, che va al di là dei canoni di collocazione culturale e storica, rendendo le sue opere dotate di un linguaggio universale.
Del Materiale
Raffinata è la scelta dei materiali, nei quali il cromatismo ha una fondamentale importanza: si passa dal nero del Belgio, al bianco statuario, al travertino rosso persiano, al grigio. La scelta di esprimersi attraverso materiali litoidi, con cromatismi ben precisi, fa supporre quanto Ogata consideri il colore: non un fatto decorativo, ma un elemento strutturale che da corpo e anima alla scultura.
Anche quando stabilisce degli abbinamenti, attraverso innesti di pietre diverse, lo fa sempre con intuito strutturale, che non lascia spazio al decorativismo, né tanto meno alla leziosità.
Del Colore
Il colore, molto spesso, lo si considera riferito all'arte del dipingere più che dello scolpire. Se invece lo si valuta da un punto di vista percettivo si capisce quanto sia presente nell'arte tridimensionale: l'architettura e la scultura. Di fatto il colore si presenta come un potente strumento, che Ogata usa per dare consistenza visiva, diventando parte organica dell'opera stessa.
Dal Raffronto
Egli, quando opera in un contesto urbano o paesaggistico, si misura con l'intorno, cercando un contatto che gli fa raggiungere risultati di notevole impatto visivo, al di là della scultura fine a se stessa.
Scultura come architettura: potrebbe sembrare assurdo, ma sicuramente Yoshin Ogata, anche se in modo non premeditato, guarda alla concezione spaziale che il grande architetto F.L. Wright aveva già a suo tempo dimostrato. Per entrambi l'architettura, come scultura, è pura creazione: come tale non discende dalla storia, ma ne sovverte l'ordine, la contraddice, è antistorica, affrontando il problema alla radice, nel rapporto forma-natura, come un fatto intrinseco, legato da un'intesa intima, profonda e capillare; quasi un sublimarsi della realtà nell'intelligenza e nell'opera umana.
Già Wright, come Ogata, aveva concorso in modo decisivo a collegare la cultura artistica orientale (vedi Hotel Imperiale a Tokyo) mediante un "corpo a corpo" con quella occidentale. La realtà infatti, in Wright come in Ogata, non si considera tanto dagli aspetti esteriori, quanto dai ritmi interni di aggregazione e sviluppo: principio fondamentale dell'arte organica.
Versione Giapponese ( Gabriele Mazzotta Edition)